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Il sole bacia i belli, ma se c’è una D, li rende sani


Il sistema ormonale D è un sistema endocrino la cui principale e più nota funzione è quella di regolare l’omeostasi del calcio e la osteogenesi. Attore principale di codesto sistema è un substrato biochimico, il calcitriolo che, per darsi un tono si fa chiamare nella maniera più altisonante di 1,25-diidrossivitamina D3.

Questo attore protagonista deriva da un precursore circolante nel nostro organismo, il calcifediolo o 25 –diidrossivitamina D3; prodotto dal fegato in forma inattiva, la sua quantità è finemente regolata da un meccanismo a feedback.

Il nostro calcifediolo se ne va in giro legato ad una proteina, detta appunto proteina legante la vitamina D, e la sua destinazione è il rene, sito in cui avviene la sua trasformazione nella forma attiva. Il glomerulo lo filtra e i tubuli prossimali lo riassorbono.

Chi regola la produzione di calcitriolo nel rene? I responsabili sono il paratormone ed i livelli di calcio e fosforo circolanti.

Il calcitriolo ha svariate funzioni: regola il metabolismo dell’osso, la pressione sanguigna, l’omeostasi del calcio, la secrezione di insulina.

Il rene è dunque l’unico organo in grado di produrre la forma attiva della vitamina D? Pare di no. Vi sono infatti altri citotipi in possesso del corredo enzimatico deputato alla produzione della forma attiva della vitamina. L’enzima responsabile di tale trasformazione, 1 alfa idrossilasi, è presente in siti extrarenali ed è sottoposto ad una forma di regolazione molto diversa da quella effettuata a livello renale. In tali siti extrarenali sono presenti anche i recettori per la vitamina D ed è stato proprio questo ad aprire le porte allo studio di tutta una serie di altre funzioni il cui controllo sarebbe sotto l’egida della vitamina D.

La nostra cara vitamina sarebbe in grado di inibire la crescita cellulare e promuovere la differenziazione di determinati citotipi, svolgendo un ruolo chiave nella prevenzione neoplastica, nella modulazione degli altri sistemi endocrini e nella regolazione del sistema immune.

La funzione immunoregolatoria di una vitamina che deve la sua fama alla regolazione del metabolismo dell’osso è un argomento affascinante e complesso, ancora oggetto di studio. Entriamo comunque in punta di piedi in questo mondo e cerchiamo di capire qualcosa insieme.

Che tra deficit di vitamina D e prevalenza di certe patologie autoimmuni ci sia una relazione è stato ampiamente dimostrato. E non solo, sembra ci sia una relazione anche e soprattutto tra disponibilità della vitamina e decorso della patologia autoimmune. La supplementazione con vitamina D si è rivelata terapeuticamente efficace in modelli sperimentali animali.

Le patologie considerate nei vari studi effettuati sono l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla, il diabete mellito di tipo I, le tiroiditi autoimmuni, le malattie infiammatorie croniche intestinali.

I bassi livelli sierici della vitamina sono comuni nei soggetti affetti da patologie autoimmuni; ciò può essere legato oltre che ad un fattore nutrizionale, alla riduzione dell’attività fisica, ma anche agli effetti collaterali della terapia e alla scarsa esposizione alla luce solare.

In corso di artrite reumatoide ad esempio, il processo infiammatorio è sostenuto da un determinato tipo di linfociti, i T helper 1. Queste cellule sono in grado di agire sulle cellule endoteliali, quei piccoli ed affusolati esserini che delimitano il lume dei vasi, e sulle cellule sinoviali attivandole e inducendole a proliferare. Ma i linfociti Th1 non si limitano a questo: essi reclutano ed attivano cellule infiammatorie, inducono la secrezione di citochine e di proteasi da parte di altre cellule (i macrofagi e le cellule sinoviali fibroblasto-simili) e la produzione di autoanticorpi. Ma come si inserisce in questo complesso quadro la nostra vitamina D? Possiamo dire che piuttosto che la sua presenza, giochi un ruolo determinante la sua carenza, ed è proprio questa ad aggravare la risposta immune da parte dei linfociti Th1, che possono quindi indisturbatamente aumentare espressione dei propri recettori sui macrofagi, sui condrociti e sulle cellule sinoviali delle articolazioni di tali pazienti.

E’ stato dimostrato che l’integrazione con alte dosi della vitamina D per via orale, in soggetti con patologie autoimmuni, trattati con terapie tradizionali, ha ridotto la gravità dei sintomi ed in molti casi ha indotto la remissione della malattia.

Quanta vitamina D dobbiamo introdurre per prevenire la patologia autoimmune o ridurre la gravità del decorso di una preesistente patologia? La raccomandazione egli esperti è di mantenere i livelli di vitamina D circolante nei soggetti affetti al di sopra dei 30 ng/ml, raccomandandone il monitoraggio perché tali livelli non superino il limite di sicurezza fissato a 100 ng/ml.

Proprio perché sono oramai ben noti i processi fisiopatologici in cui è implicata con un ruolo regolatorio di enorme importanza, la carenza di vitamina D è inquadrata attualmente alla stregua di un’emergenza sanitaria che interessa un numero crescente di persone. Anche noi italiani, che pure godiamo di una posizione geografica abbastanza favorevole per poter trarre beneficio dall’irraggiamento solare durante tutto l’anno, non siamo risparmiati da questo trend sfavorevole. E’ verosimile pensare che anche questo stato carenziale sia effetto dei cambiamenti radicali nelle nostre abitudini di vita e di lavoro, che oggi ci portano a trascorrere sempre meno tempo all’aria aperta. Con una differenza che ovviamente cresce all’aumentare della latitudine, i mesi da novembre a marzo sono quelli in cui, per la loro particolare inclinazione, i raggi ultravioletti svolgono un’azione scarsamente efficace livello cutaneo per la produzione endogena della vitamina. A ciò si aggiunga anche l’atteggiamento di grande prudenza che negli ultimi anni abbiamo imparato ad avere nei confronti dell’esposizione al sole, al mare ma anche in montagna. I filtri solari contenuti nelle specifiche creme sono capaci di schermare la luce ultravioletta così da renderla completamente inefficace per la sintesi della vitamina D. Un filtro medio (SPF 8) abbatte già per il 92% la produzione di vitamina D, e anche la formazione della melanina diviene un ostacolo fisico alla giusta penetrazione dei raggi UVB inducenti la biosintesi, ragion per cui, a parità di tempo di esposizione, nei fototipi scuri le quantità prodotte sono minori.

Quale condotta assumere allora? Naturalmente non è necessario contravvenire alle prescrizioni dei dermatologi, rischiando magari una scottatura: per sfruttare il sole in modo sicuro è innanzitutto importante rispettare sempre il criterio della gradualità soprattutto nei primi giorni di esposizione, tenendo scoperte mani, braccia e parte inferiore delle gambe per almeno 20 minuti, ricordandosi tuttavia che la radiazione UVB è più forte e quindi più efficace, nella fascia oraria tra le 10:00 e le 15:00. E’ dunque consigliabile approfittare il più possibile della possibilità di scoprirsi già in città, indossando abiti non troppo coprenti fin dall’inizio della primavera e proseguendo anche al termine dell’estate piena, finché il clima lo consente. A noi piace sottolineare che la via naturale per garantirsi una vita in benessere è sempre preferibile alle scorciatoie sintetiche, tuttavia, è giusto considerare le opzioni terapeutiche che la ricerca mette a nostra disposizione ricordando che per contrastare carenze importanti è possibile ricorrere a supplementi farmacologici, la cui prescrizione deve avvenire sempre sotto indicazione medica per non eccedere la posologia di sicurezza. Per gli amanti del sole e della vita all’aria aperta, particolarmente attenti alla loro salute, sarà forse curioso scoprire che negli USA è commercializzato un dispositivo che s’indossa come un braccialetto ed è in grado di monitorare il livello di sicurezza nell’esposizione ai raggi solari, assicurando al contempo di aver raggiunto la quota di UVB necessaria alla biosintesi di questa preziosa vitamina-ormone.

Dal punto di vista dietetico, infine, ricordiamo che ci sono in natura alimenti che contengono discrete quantità di vitamina D, sebbene in concentrazioni tali da non poter garantire da sole una compensazione adeguata in caso di carenze. Tuttavia, questo ci offre un’altra buona ragione per consumare più spesso olio di fegato di merluzzo, pesce azzurro, pesci d’acque fredde come il salmone, uova, yogurt e alcune varietà di funghi, soprattutto quelli selvatici.

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